Esistono film che non è possibile recensire. Perché quando li guardi non riesci in nessun modo a percepirli come un film. Non vedi la regia. Non vedi la fotografia. Non senti la musica. E non ti accorgi neppure di come recitano gli attori. Perché c’è qualcosa di più importante che non riesci proprio ad ignorare, anche se vorresti. Vorresti con tutto il cuore non aver visto, non dover sapere. Ma non puoi.

Forse è difficile comprendere tutto questo senza l’imprescindibile visione di Diaz, l’ultimo film di Daniele Vicari. Partiamo da questo assunto: Diaz è un film che va visto. Mai come in questo caso si può parlare di film necessario. E questa necessità non ha niente a che vedere con il cinema. Perché, come dicevo sopra, non lo so se Diaz è un bel film. Non ne ho assolutamente idea perché mi mancano totalmente gli elementi che mi consentirebbero di giudicarlo dal punto di vista cinematografico. Nella visione della pellicola non ho notato nessuna di quelle cose che, normalmente, mi permettono di valutare la riuscita o meno di un film. Ero troppo occupata a piangere e tremare, ve lo giuro. E non solo io. Ho già detto da un’altra parte che adoro vedere i film al cinema per l’atmosfera che si respira nella sala cinematografica, per la comunione della visione con estranei. Per la prima volta nella vita ho sentito applaudire in sala al di fuori di un evento festivaliero. Perché le emozioni che scatena questa visione, alla fine, devono in qualche modo esplodere e deflagare e un applauso liberatorio, spesso, è il modo migliore per farlo.

Devo riuscire a spiegare perché è necessario vedere questo film. Non sarà facile. Ci provo.

Vedere sullo schermo una mattanza gratuita ed immotivata come quella della scuola Diaz e realizzare che non stai guardando un film o, meglio, che non stai guardando solo un film, ma che quello che ti stanno raccontando è successo davvero qui, nel nostro Paese che si suppone civile e democratico, poco più di dieci anni fa (ieri, in termini storici), è insostenibile. Vedere la manifestazione chiara della violenza insita nella natura umana ed accorgersi di essere impotenti di fronte al suo propagarsi è terribile. Fa piangere e tremare, appunto. Come piangono e tremano i ragazzi del film totalmente increduli di fronte a ciò che sta succedendo loro. Perché non ci si può capacitare di una cosa del genere. Perché accettare una cosa del genere significa perdere irrimediabilmente la propria umanità.

E non è un fatto di buoni o cattivi. Ci tengo a precisarlo. Né di schieramenti politici. Perché in Diaz, per fortuna, di politico non c’è nulla. E in questo vedo veramente una scelta registica. C’è chi ha visto in questa caratteristica un difetto. Chi avrebbe voluto un film più politico. Per me non è così. Diaz è un film sulla natura umana ed in questo risiede la sua forza. Ogni altro elemento avrebbe distratto da questo messaggio.

Diaz andrebbe proiettato nelle scuole. Perché è la nostra storia.

Perché quando hai 20 anni e ancora credi in qualcosa così tanto da voler manifestare, da voler esprimere il tuo punto di vista, da credere davvero che questo potrà ancora portare a dei cambiamenti non puoi venire massacrato ed umiliato senza ragione.

A questo proposito ancora più male del massacro della Diaz fa assistere alle violenze e alle umiliazioni consumate nella caserma Bolzaneto. Perché se è comprensibile (assolutamente non giustificabile) che, in una perquisizione con centinaia di persone coinvolte e con la tensione accumulata nei giorni del G8 ed in seguito all’assassino di Carlo Giuliani, si possa arrivare a perpetrare quel genere di violenze gratuite contro persone indifese resta però incomprensibile (oltre che disumano) che in una caserma si possa arrivare a ledere i diritti umani fino all’umiliazione e alla tortura, fisica e verbale. E non in Afghanistan o in Cina. Qui. Dietro casa nostra. Di questo non si può riuscire a capacitarsi in nessun modo.

Guardatelo. E poi provate a dimenticarlo, se ci riuscite.