Raramente capita di uscire dal cinema e di avere la consapevolezza di aver appena visto un capolavoro. L’ultima volta mi era accaduto con Drive di Nicolas Winding Refn e ancora prima con La donna che canta di Denis Villeneuve. Recentemente mi è accaduto di nuovo per merito di Come pietra paziente di Atiq Rahimi.

Come pietra paziente (2012)

[Syngue sabour, Francia, Germania, Afghanistan 2012, Drammatico, durata 98′]   Regia di Atiq Rahimi
Con Golshifteh Farahani, Hamid Djavdan, Hassina Burgan, Massi Mrowat
Una stanza. Un uomo ridotto in stato vegetativo da un proiettile conficcato nel collo. Una donna che, per la prima volta nella sua vita, si sente libera di raccontarsi. Fuori una guerra che dura da troppo tempo.
Non serve altro. Non serve altro né per raccontare la trama di questo film né per dirigere una pellicola che non può lasciare indifferenti.
Sono dovuta tornare a vedere il film di Rahimi perché la prima visione mi aveva lasciata abbacinata dalla bellezza delle immagini e dalla forza delle parole che, come un fiume in piena, sgorgano dalle labbra della magnifica protagonista. Parole represse a lungo da una cultura che considera la donna alla stregua di un oggetto, incapace di decidere della sua vita e, spesso, merce di scambio per gli affari dell’altra metà della società, quella maschile. Una società, a detta della stessa protagonista, capace solamente di fare la guerra per nascondere l’incapacità di amare. Uomini che non possono permettersi di farsi vedere deboli, o fragili, o inesperti, anche quando non riescono a nasconderlo. Uomini che non esitano a punire, umiliare, prevaricare perché, appunto, incapaci di amare, di dimostrare amore.
E’ un film estremamente femminile quello di Rahimi, tanto che, durante la visione, ero convintissima che il regista o, almeno, il soggetto fosse di una donna. Invece no. E questo colpisce ancora di più perché, alla fine della visione, non si può non rimanere disgustati da ciò che gli uomini sono capaci di fare.
E’ un film coraggioso Come pietra paziente. Perché ha il coraggio di scegliere la luce e le parole come linguaggio predominante. Il lunghissimo racconto della protagonista riempie tutta la pellicola e sarebbe stato molto facile suscitare noia nello spettatore. Invece non succede mai. Perché è evidente la forza delle parole pronunciate dalla donna; è evidente la verità che viene fuori in tutta la sua forza dirompente perché non può essere ignorata. Perché quando si ha il coraggio di tirarla fuori la verità non può più essere nascosta.